Si tratta di un laser a diodi 1470 nm (nanometri) che stimola grasso, acqua ed emoglobina, per evacuare il filler e interrompere il processo infiammatorio in modo definitivo, senza lasciare alcuna traccia. La luce laser veicolata nel granuloma attraverso la sopracitata fibra ottica, surriscalda l'area da trattare, il filler permanente viene liquefatto per poi fuoriesce dai forellini praticati per inserire la fibra ottica stessa. Gli invisibili forellini si richiudono da soli senza accorgimenti particolari tranne un accurata detersione e disinfezione. Dopo il trattamento compare un gonfiore più o meno evidente a seconda del caso trattato, provocato logicamente dal riscaldamento dei tessuti, che scompare rapidamente nel giro di 7-14 giorni. La durata del trattamento è variabile e dipende dall'estensione dell'area e dalle dimensioni del granuloma da trattare. L'ipotesi attualmente più accreditata è che il laser in oggetto agisca su quello che viene definito “biofilm”. In pratica secondo diversi studiosi, nel momento in cui l'organismo da atto alla reazione da corpo estraneo, data la presenza del filler incriminato e di conseguenza alla formazione di un granuloma, si assiste alla colonizzazione, da parte di alcuni tipi di batteri, della superficie di contatto tra il filler permanente iniettato ed il tessuto circostante causando una vera e propria infiammazione cronica protettiva (le molecole infiammatorie infatti distruggono i batteri ). Purtroppo si assiste ad un totale insuccesso da parte di questa reazione perché i batteri producono una membrana protettiva all'interno della quale si avvolgono per non essere attaccati e uccisi. Il risultato è appunto un'infiammazione cronico/evolutiva che non si arresterà mai. Questo spiegherebbe il perché delle recidive dopo i trattamenti medici sopracitati con il cortisone. Infatti una volta passato l'effetto antinfiamatorio del cortisone si assiste molto spesso ad una recidiva con il ripresentarsi del problema. Nel caso dell'approccio chirurgico la spiegazione degli scarsi successi sarebbe diversa: con il bisturi il chirurgo diffonderebbe i batteri del biofilm dell'area operata. Ciò provocherebbe successivamente una riattivazione dell'infiammazione senza contare che spesso l'asportazione totale del granuloma, data la sua particolare infiltrazione nei tessuti, è possibile solo parzialmente. L'aumento della temperatura del laser, invece, elimina completamente i batteri curando in maniera definitiva l'infiammazione e sciogliendo sia il granulama che il filler precedentemente iniettato. Il numero delle sedute laser da effettuare dipende dal tipo di filler permanente iniettato, se a base di silicone, di poliacrilammide, di polimetilmetacrilato oppure altro. Dipende da quanto ne è stato iniettato. Dipende da quanto è estesa l'area interessata dall'impianto di filler permanente dallo spessore del granuloma che si è formato e se quest'ultimoè anche interessato da un processo infiammatorio acuto in atto oltre che cronico. E' possibile però affermare che con una o più sedute, a seconda del caso in oggetto, il problema è risolvibile.
Concludendo: dato che diversi sono i filler permanenti che nel corso di alcuni decenni sono stati commercializzati e dato che le reazioni a loro avverse si sono scatenate nella maggior parte dei casi a distanza di anni ( a volte anche più di 10 anni ), la cosa più sensata è quella di farsi controllare attraverso un esame ecografico con una sonda ad alta risoluzione per valutare la presenza o meno di granulomi da filler permanenti e apporre la giusta prevenzione senza attendere l’eventuale scatenarsi del problema.