Banner 160x60_2
Banner 160x60_3
Banner 160x60_4
Daily Network
© 2015
EDITORIALE
ESCLUSIVA - Giannichedda: "Lazio, ecco come battere l'Udinese"
24.09.2014 10:05 di Lalaziosiamonoi Redazione articolo letto 6595 volte
Fonte: Cristiano Di Silvio-Lalaziosiamonoi.it
© foto di Federico Gaetano
ESCLUSIVA - Giannichedda: "Lazio, ecco come battere l'Udinese"
Una vita da mediano, direbbe Ligabue. Una vita da Giannichedda, direbbero altri. Giuliano Giannichedda da Pontecorvo, Ciociaria doc. Quattro anni con la casacca biancazzurra addosso, tanta fatica, tanta partecipazione, tanti chilometri percorsi con l’aquila sul petto. Strappato all’Udinese della dinastia dei Pozzo, arrivò a Roma nella difficile stagione 2001-2002, quando la sbornia cragnottiana cominciava a passare e la realtà sembrava ogni giorno sempre più preoccupante, Cominciava a delinearsi una difficoltà nel rimanere a certi livelli che non avrebbe tardato a manifestarsi. E sì che la squadra c’era, eccome: accanto a lui si muoveva gente del calibro di Nesta, Marchegiani, Mihajlovic, Simeone, Stam, il mai pervenuto Mendieta, ecc…C’era un impianto, c’era una rosa, mancava un tecnico capace di fare da collante tra squadra, società e tifoseria: fu l’anno delle dimissioni di Zoff alla quarta di campionato, tre punti in quattro partite, e dell’arrivo dell’algido e confuso Zaccheroni, del suo derby perso malamente. Era l’anno dell’11 settembre, della Champions macchiata di sangue, della folle decisione di giocare con le Torri appena crollate, in una notte ottomana e giallorossa come solo il Galatasaray sa essere, con la truppa di Zoff battuta e sconfitta, mentre un mondo intero andava in frantumi, dolorosissimi frantumi. Infine, fu l’annata del 5 maggio, quello dello psicodramma nerazzurro che solo la “pazza” Inter poteva vivere: uno scudetto buttato al vento dopo un campionato dominato in lungo e largo, in uno stadio che non aspettava altro che il novantesimo: ne servirono novantaquattro per vedere le lacrime di un popolo, la disperazione di un “equipo, triste, solitario y final”, per dirla con Soriano. Giuliano Giannichedda c’era sempre, in ogni momento appena ricordato. O in panca o in campo, ma Giuliano c’era sempre. Rimase alla Lazio altri tre anni, giusto in tempo per vincere una spettacolare Coppa Italia nel maggio 2004 contro la Juventus che, sorniona, l’anno dopo farà carte false per averlo a Torino. Poi tanto girovagare, fino all’addio nel 2008. Ora l’esperienza al servizio dei giovani, la panchina in seconda dell’Under 20, la stima di mister Evani e il prezioso lavoro d’equipe con il tecnico massese. Tecnica in campo, capacità e sguardo d’insieme ora dalla panca: alla vigilia del match con l’Udinese, sua prima “patria” calcistica, la redazione de Lalaziosiamonoi.it lo ha contattato per presentare il match di domani sera e per tastare il polso della situazione in casa Lazio.
Mister, partiamo dalla dolente cronaca di questi ultimi giorni. Lazio che domina a Genova ma che torna dalla Liguria con nessun punto, ma soprattutto, e questo conta di più, con le ossa rotte, nel vero senso della parola. Come si riparte?
Mi preme dirlo subito: debbo fare i complimenti alla Lazio per la partita che ha disputato al Ferraris. Raramente si vede una squadra “pronti, via” che schiaccia l’avversario così nella sua area, che crea e spreca una quantità imbarazzante di palle goal. Poi nel calcio, esistono gli episodi, che condizionano la partita in corso ma anche la stagione, in modo più ampio. Sempre a mio avviso, con Gentiletti e Biglia, la Lazio dava l’impressione di essere più equilibrata e più solida in mezzo al campo. Sono bastati due episodi, e tutto è stato spazzato via. Ora, però, serve uno scatto di maturità per rimettere le cose al loro posto.
La necessità di ripartire, dice lei, è fondamentale. Le chiedo: come ripartono quei giocatori che, gioco-forza, Pioli ora richiama in auge, ma che in realtà erano finiti tra le seconde linee della rosa? A livello psicologico, come si sente l’atleta che viene reinserito all'improvviso nell’undici titolare? E Pioli, che vede i suoi interpreti di gioco fermarsi, come starà vivendo il momento?
Partiamo col dire che tutti, tecnico e atleti, sono dei professionisti, gente che fa questo mestiere da anni e che sa benissimo come il vento può cambiare e che poco si scompone. Anzi: l’atleta che viene promosso tra i titolari ha una ghiotta occasione per mettere in difficoltà il tecnico, ancor più di quanto fatto in sede di ritiro estivo. Ha l’occasione per poter dimostrare al proprio allenatore che è degno di fiducia e che può gestire la situazione d’emergenza. La Lazio ha in rosa elementi che rispondono a questo identikit, tanto in difesa quanto in mediana. Sono molto curioso di veder che risposte forniranno i cosiddetti sostituti. Pioli, dalla sua, ha la possibilità di un maggiore e più approfondita verifica della rosa a sua disposizione, di studiare meglio le caratteristiche di chi dovrà tirare la carretta in attesa dei rientri di Biglie e, più avanti, del centrale argentino.
Venendo al match dell’Olimpico, Lazio-Udinese, al netto della presenza dei due in campo, si legge anche come Klose contro Di Natale? A Roma c’è chi storce un po’ la bocca, definendo il tedesco come appagato da tanta carriera, col Mondiale vinto come ultima ciliegina. Che opinione si è fatto, a riguardo? E del bomber napoletano?
Lo dico forte e chiaro: chi pensa che Klose sia appagato e tiri un po’ i remi in barca è completamente fuori strada. Non possiamo dimenticare che il campionato del mondo è una competizione che risucchia moltissime energie, sia fisiche ma soprattutto psichiche. Vincere un Mondiale significa, oltre alla cifra tecnica, aver avuto altissimi standard nella gestione fisica e psichica dell’evento. Sono convinto che Klose avrà tempo e modo per farsi valere, non scherziamo… Parliamo di uno dei bomber di razza ancora sulla scena, con una storia ed una tradizione che non lasciano scampo ad equivoci. Quanto a Di Natale, ha la voglia di un ragazzino e, come il tedesco, me lo descrivono ligio alle regole e rispettoso della realtà nella quale si trova, e che io conosco perfettamente. È un innegabile patrimonio del calcio italiano; altro credo non si possa proprio aggiungere.
La “meglio gioventù” laziale: Felipe Anderson e Keita, croce e delizia, anche sotto Pioli. La patita del brasiliano, domenica a Marassi, grida vendetta: primi quindici minuti da sette in pagella; i restanti settantacinque da cinque senza scampo. Il giovane spagnolo, invece, in panchina con qualche “mal di pancia”. Secondo lei, mister Pioli come deve gestire i suoi talentuosi giovani atleti?
Così come sta facendo. Se durante la settimana nota che uno dei due risulta più in forma dell’altro, lo schieri senza esitazioni. Pioli sa perfettamente cosa chiedere, e cosa aspettarsi, da Felipe Anderson o da Keita. Li ha con sé da questa estate, li conosceva anche prima. Bastone e carota non hanno mai fato male a nessuno, e sarà così anche stavolta. Attenzione, però, anche a noi addetti ai lavori: come non si pretenda l’impossibile da Klose, qui altrettanto ci si aspetti solo quello che i giovani possono dare, senza sovraccaricarli di eccessive responsabilità.
Per chiudere: che Udinese dobbiamo aspettarci e cosa, la Lazio, deve temere della squadra di Stramaccioni?
La Lazio deve stare molto attenta alla solidità dei friulani e alla compattezza che i reparti sanno esprimere. Non sarà una partita facile, va da sé. Bisognerà, con pazienza, lavorare ai fianchi i bianconeri per farli uscire dal loro guscio. Mi pare che Stramaccioni stia entrando sempre più in confidenza con l’ambiente, con la rosa, con il cambio di modulo a cui l’Udinese non era abituata. Sarà una stagione di assestamento, di definizione, dopo l’ottimo lavoro svolto da Guidolin e dalla famiglia Pozzo, più in generale. La